Architettura: i complessi residenziali anni ’60 in Italia

Nell’evoluzione della serie Reshape Relationships, ho voluto dedicare tre opere alla descrizione di un edificio rappresentativo delle istanze urbanistiche degli anni ‘60, il quartiere Rozzol Melara. Questo enorme complesso residenziale dislocato sulle colline di Trieste, per le sue dimensioni mastodontiche caratterizza fortemente il paesaggio urbano della città, diventando protagonista dello skyline triestino da un lato all’altro del Golfo.

Costruito fra il ‘69 e l’82, dall’equipe di architetti coordinati da Carlo Celli, su commissione dello IACP, si compone di quattro grandi ali racchiuse attorno ad una corte quadrata che ospita i servizi comunitari. Le ali sono unite a due a due da un ampio corridoio di distribuzione (carrabile nell’ala Nord), ritmato da caratteristici oblò e sono sfalsate in altezza, poggiando su alti pilastri per ovviare il dislivello orografico della collina.

I riferimenti sono l’Unitè d’Habitation e il convento di La Tourette di Le Corbusier.

Come una città di fondazione romana la forma quadrata richiama il cardo e il decumano ed allude al ruolo di città nuova, città satellite autosufficiente alle porte della Trieste storica.

2.500 abitanti sono ospitati in differenti tipologie di appartamenti, uniformati dal rigore della facciata.

Passeggiando in una giornata invernale lungo gli ampi corridoi gelati dal vento, calpestando la nera  gomma a bolli del suolo e contemplando questa stessa coerenza geometrica ripresa negli oblò, nelle volte in vetro-cemento degli spazi comuni, sento che il gigantismo della struttura è forse il principale deterrente alla percezione di questo spazi come “casa”. Lo spazio vuoto, dilatato dei corridoi è carico di una forza centripeta, che divide piuttosto che attrarre.

E allo stesso tempo percepisco tutto l’entusiasmo e l’energia di questi giovani architetti, che appena laureati nel 1964 fondarono il loro studio associato e pochissimi anni dopo, ricevettero questo impegnativo ed emblematico incarico. Immagino l’ambizione e la convinzione, nel declinare anni di studio e punteggiare di riferimenti ai “maestri” un progetto con implicazioni sociali così imponenti; immagino disegni, tavole, ripassate a mano, cancellature e revisioni, a ribadire una soluzione trovata, un’idea fissata, con in mente l’obiettivo primario: modellare una città ideale, modellare le abitudini quotidiane degli abitanti per migliorarne la vita e le relazioni sociali. Un edificio-rete, rete sociale.

Tutto questo all’epoca del boom economico, demografico, lavorativo, dove un mondo di plastica e cemento cresceva e prendeva il posto di ciò che c’era prima, per semplificare, abbellire, arricchire la vita delle persone. La dilagazione urbana di quegli anni poneva gli architetti in un ruolo cruciale nel definire le città del futuro. Ed è questo che ogni architetto trova incredibilmente esaltante, materializzare un’idea, un progetto, un’intenzione. È con questi pensieri che esco nuovamente all’aria aperta, con un sorriso e allo stesso tempo il rammarico di aver mancato un epoca, di cui Rozzol Melara è uno tra i monumenti più significativi. Con questo spirito guardo il cielo sezionato dai setti di cemento e scatto l’ultima foto.

fotografie ©Laura Hirennau